giovedì 27 agosto 2009

Verso Matiri: la simbolica transumanza di Giacomo, Emanuele e Viorica



Sono 200 i km che ci apprestiamo ad affrontare, per raggiungere il Tharaka Hospital, quella che costituirà la nostra casa per le prossime settimane e ancora, non lo sappiamo, oltre.

Una lunga strada sconosciuta in una terra altrettanto sconosciuta per tutti e 3 che negli occhi assieme alla stanchezza portiamo curiosità ed eccitazione. La strada asfaltata addolcirà il viaggio per un po’ prima che le nostre natiche comincino a ballare sui sedili del pulmino di Kithinji: un percorso che si rivela ai nostri occhi assieme ai racconti della nostra piccola guida folle verso il distretto di Tharaka, un’area estremamente povera del Kenya a nord di Nairobi, che vive di pastorizia e – poca, pochissima – agricoltura.


E’ presto, ma uscendo da Nairobi la vita non cessa di manifestarsi nelle sue attività quotidiane, qui molto poco frenetiche, ma cariche del significato della sopravvivenza: via via che procediamo nel viaggio, i paesaggi incredibilmente differenti tra loro, sono musicati dalle persone affaccendate nei mercati, sul ciglio della strada, nei campi che di tanto in tanto s’incontrano, sulle soglie di casa. Ai piccoli villaggi si alternano zone meno abitate e qualche città più grande: una di queste Embu, ci viene segnalata da Kithinji, come una zona estremamente pericolosa, Se la macchina va in panne qui, dice ridendo, scappate, allontanatevi nel bush e non fatevi trovare: per rubarvi i pantaloni qui vi potrebbero uccidere! Dove c’è sviluppo e benessere aggiunge il mio autista al ritorno verso Nairobi terminato il mio volontariato, c’è criminalità.


Ma è a Embu che ci fermiamo per la prima colazione: un bar deserto e piuttosto grande, con tavolini di legno, un bancone con la sola cassa e un piccolo lavandino per lavarsi le mani ci propone caffé, tè e madazi, una focaccia di farina acqua e zucchero cotta in olio bollente, prima di lasciare definitivamente la strada asfaltata per quella dissestata di terra rossa, che diventerà un po’ il simbolo dell’Africa.


Ovunque, persone cariche di beni di sussistenza, taniche gialle per contenere l’acqua, beni di ogni genere camminano senza sosta ai lati della strada: percorsi lunghi e polverosi che segano le gambe e anche l’anima in cerca di un sollievo che sia cibo o altro. Le donne sono più frequenti negli avvistamenti, fanno il lavoro duro qui, i piedi stanchi e le spalle curve sotto il peso della merce. Anche i bambini sono numerosi… Chissà quanti km percorrono per raggiungere la scuola, ora che il sole sta salendo e comincia a scaldare. Qualche bicicletta, anche delle moto – i Piki Piki, sono utilizzati spesso anche come servizio taxi su due ruote – e la nostra prima scoperta di un detto keniano: Matatu ne matata, il matatu è un problema, come afferma scuotendo la testa Kithinji. Il matatu, quella giostra di neon e decorazioni vivacemente colorate che trasposta persone e assieme a loro, tutte le merci che si riescono a caricare in uno spazio ridottissimo tra polli, bambini e adulti accaldati. Una guida che lascia alquanto a desiderare e ti fa sperare di arrivare a destinazione.


C’è poco spazio sul nostro pulmino ma Kithinji si ferma a raccogliere una donna anziana che percorre la strada chissà verso dove: ci dice, che sicuramente starà raggiungendo il villaggio vicino (vicino, una parola grossa) per cercare del lavoro e dare da mangiare ai figli. E’ provata e la strada che intende percorrere è incredibilmente lunga per noi che abbiamo il sedere sempre appoggiato al sellino dello scooter o al sedile della macchina: quest’anno, l’area sta soffrendo di un’insolita siccità e anche quel poco che qui si raccoglieva grazie alle piccole colture, ha subito dei grossi danni. Si, la fame c’è, inutile lasciarsi ingannare dall’estremo sforzo energetico di questi viandanti.


Siamo stanchi e coperti di polvere rossa quando raggiungiamo Matiri, quella polvere che oltre ad essersi appiccicata ai vestiti, ad essersi infilata negli orifizi, abbiamo respirato fino a lasciarla depositare nei nostri polmoni e più indelebilmente, nelle nostre anime, che si scaldano grazie questo nuovo colore acquisito e che diventerà sempre più intenso. Ora a Matiri, la nostra simbolica transumanza verso un animo nuovo e caldo, trova concretamente il suo inizio.



Nessun commento: